L’essere umano, a quanto sembra, è l’unico del regno animale a poter raggiungere questo stato, cioè sia conoscere attraverso gli organi di senso, pensando, immaginando, interpretando e usando processi mentali, e sia attraverso una dinamica cognitiva evolutivamente inedita: direttamente tramite la propria piena presenza consapevole.
L’apice più alto di auto-consapevolezza si ottiene nel momento in cui l’attenzione è concentrata con un flusso indisturbato su se stessa, sul soggetto, ovvero su chi la origina. Il soggetto osserva il soggetto tramite l’attenzione che egli stesso origina. Un processo unico nel suo genere, propria del genere umano, che l’evoluzione ha dotato di autocoscienza.
L’intensità, la purezza e la durata di questa attenzione raggiungono un punto critico, un vero e proprio interruttore evolutivo che scatta portando alla conoscenza diretta di sé. Quando avviene, questa condizione viene percepita come totalizzante e appagante. Questa è la condizione da cui sorge spontaneamente la comprensione di nuova generazione che stiamo cercando.
Possiamo perciò concepire una nuova necessità: PER COMPRENDERE DI PIÙ, ABBIAMO BISOGNO DI ESSERE DI PIÙ.
Non abbiamo bisogno di più dati, le informazioni sono oggi accessibili in abbondanza, anche in eccesso, sino a provocare talvolta la saturazione e il rigetto.
Abbiamo bisogno del “bacio” che l’attenzione dona all’Essere e dell’intimità abissale che tutti dovrebbero conoscere per diventare donne e uomini capaci di affrontare il terzo millennio
SOLITUDINE E ISOLAMENTO
Ogni persona dovrebbe incamminarsi in modo deciso e certo verso la risoluzione definitiva del proprio isolamento e bandire la solitudine dalla propria vita. Il viaggio inizia con un’azione concreta: parlare con l’intenzione di essere compresi e ascoltare con l’intenzione di comprendere gli altri; accettare il loro messaggio e confermare di aver compreso.
È necessario concepire nuove finalità nella vita: avere relazioni vere, stabili e profonde, sentirsi in contatto con gli altri, sapere di avere abilità di relazione e di poter gestire in modo positivo le diverse necessità e situazioni, essere consapevoli della propria libertà di scelta e rispettare quella degli altri.
La maturità in tutti questi elementi ci permette di avere un profondo contatto con gli altri, di essere leali con loro e di sentirci interiormente liberi. Diventiamo così determinati, coraggiosi e sentiamo di essere belle persone.
Dobbiamo cercare le risposte alle seguenti domande:
Che cosa voglio trasmettere agli altri per non sentirmi solo?
Che cosa posso comprendere degli altri per non lasciarli soli?
Che cosa possiamo fare tutti insieme affinché le persone non siano sole?
Che cosa possiamo fare nell’educazione affinché bambini e ragazzi crescano con ottime relazioni e liberi dalla solitudine?
Innanzitutto bandire da subito la minaccia della solitudine e dell’isolare le persone come strumento educativo: non usare più l’interruzione della relazione come deterrente nelle relazioni, perché interrompere la relazione per indurre l’altro, tramite la sofferenza della solitudine, a fare ciò che vogliamo, non rispetta in nessun modo l’individuo.
ETEROGENESI DI UN FINE E IL SUO RICORSO
Un alto numero di esperienze della vita funzionano in base ad un semplice meccanismo: se c’è un bisogno prima o poi si troverà la relativa risposta.
Il nostro bisogno di contatto con gli altri è innegabile ed irrinunciabile, e ci sono le relazioni in cui poterlo appagare. Ma appagare questo bisogno non è un processo automatico: è necessario applicare le abilità di relazione, diversamente cadremo nei problemi.
Ritengo che l’azione più efficace sia aumentare l’abilità di dare e ricevere comprensione, innalzare cioè i relativi quozienti. Praticare tutti quei processi adatti ad inflazionare l’orizzonte dell’universo percepito da ogni singolo individuo.
Ritengo che tutto questo dovrebbe soprattutto far parte di una formazione capace di dotare i giovani di questi strumenti per affrontare in modo più complesso la loro vita.
Grazie alla comprensione sorge un nuovo paradigma:
Io non sono solo perché ti comprendo – tu esisti in me!
Io non sono solo perché mi comprendi – io esisto in te!
Tu non sei solo perché ti comprendo – tu esisti in me!
Io non sono solo perché mi comprendi – io esisto in te
La solitudine mina la nascita di fini comuni e di conseguenza la collaborazione fino a frantumare l’appartenenza.
Nei laboratori del Centro Studi Podresca stiamo assistendo ad un evento epocale: siamo certamente all’interno dell’eterogenesi di fini che intendono evolvere il tessuto sociale. Gli strumenti del Paradigma della Comprensione desiderano essere il “ricorso” di tale fine.
L’eterogenesi dei fini viene teorizzata per la prima volta da Giambattista Vico: l’umanità possiede in sé un potenziale e una certa tensione verso le sue finalità. Una rete di comprensione sempre più vasta e profonda è certamente una di queste. Tutto ciò però raramente avviene in modo lineare. Spesso accade che, mentre ci si propone di raggiungere la comprensione e alti e nobili obiettivi, si arriva ad ottenere condizioni diverse o addirittura opposte come l’isolamento e la solitudine. L’umanità allora cerca il “ricorso”, ossia tenta di rientrare nel percorso prestabilito di auto-miglioramento a causa di errori di natura sociale e/o politica (inaridimento del sapere, perdita di memoria storica). Con forza, coraggio, fatica e sofferenza ogni volta l’umanità ha saputo e saprà sempre riprendere il suo cammino progressivo. Il Paradigma della Comprensione nasce come strumento di ricorso.
Si conclude così la sbirciatina nel libro “il paradigma della comprensione.
A presto, mi auguro di ritrovarvi tutti tra le pagine del libro e “comprenderci meglio”.
Per i più temerari consiglio il corso in presenza oppure online da svolgere con Tutor preparati e con un denso e nutrito manuale di processi che rappresentano il nostro vero strumento di lavoro, capace di trasformare l’inedita visione concettuale in crescita personale: pensieri inediti che diventano qualità della nostra vita e delle nostre relazioni.