Racconta la Storia di come un popolo debole e oppresso da un’altro più potente e aggressivo trovò la via del suo riscatto. La sua emancipazione non venne concessa ma conseguita mediante il pagamento di un prezzo che il popolo oppresso stesso seppe trovare nonostante tutte le circostanze avverse. Siamo nelle periodo storico precolombiano in cui le grandi culture del centro e sud America si affermavano. Un popolo cadde in disgrazia come conseguenza di tali domini che si espandevano  velocemente e con feroce violenza. Essendo un popolo di miti agricoltori fuggì davanti a tale invasione e non potè fare altro che ritirarsi davanti all’invasione. Trovò rifugio in un territorio talmente aspro e inospitale che nessun altro popolo lo reclamava. Scarseggiava tutto, la terra fertile, l’acqua. Erano certamente destinati a perire di stenti, carestie e malattie fino ad estinguersi. L’unica cosa che abbondava in quella distesa assolata e pietrosa erano i serpenti. Esseri infidi, tanto velenosi  quanto numerosi. Pericoli quotidiani che mietevano molte vite ogni anno. Ma la volontà di sopravvivere sommata alla loro fiera appartenenza trovò la via non solo per adattarsi al difficile ambite e sopravvivere, ma di progredire, crescere fino a cambiare le sorti del loro destino. Trasformarono la loro identità, non potendo più essere agricoltori divennero cacciatori e invece di subire passivamente l’infestazione di serpenti sotto la  minaccia costante di essere avvelenati cominciarono a cacciare e cibarsi proprio dei serpenti che minacciavano la loro esistenza. La trasformazione alimentare e il cambiamento della loro indole verso le sfide esistenziali li portò velocemente, nel giro di poche generazioni a conquistare tutta la penisola dello Yucatàn diventando una delle culture dominanti dell’antica Mesoamerica. Non è un caso che veneravano Quetzalcóatl, il dio “serpente prezioso” piumato che guidò il popolo azteco alla conquista del loro destino. Che cosa ha portato a mutare la narrazione del destino di questo popolo che sembrava segnato dal fato avverso? Sono molte le forze che ovviamente sono entrate in gioco, ma per noi, studiosi delle strategie evolutive, ciò che è cambiato e ha fatto una differenza è il loro sistema valoriale. Hanno saputo dare valore a cose nuove, diverse da quelle note. Hanno saputo togliere valore a cose che li definivano in un modo che non avrebbero potuto sopravvivere e hanno saputo dare valore a tutto ciò che li portavano ad emergere. Non hanno tolto valore a se e non lo hanno fatto neanche ai serpenti che potevano sembrare i nemici giurati della loro sopravvivenza. Hanno fatto qualcosa che a prescindere dalle circostanze ostili hanno saputo vincere.

La dinamica del togliere valore a se e agli altri viene studiata con molta attenzione perché è spesso la principale fonte della mancata crescita di una persona. Essa, in quanto strategia inconscia esercita un’azione deleteria e va rimossa. Lo studente per attivare una crescita che porti al suo benessere esistenziale deve smettere di  introdurre il disvalore nella sua persona e di rilasciarla nelle sue relazioni. Non è possibile crescere nel relazioni esercitando il disvalore nei confronti dell’altro. Esiste  però un’altro aspetto del togliere il valore che lo studente deve invece imparare a usare e questa volta, sembra impossibile da credere, applicarlo quanto a se stesso e tanto sugli altri. Ebbene si, esiste una azione di crescita positiva nel togliere il valore. A che cosa della nostra e l’altrui persona dobbiamo togliere valore? Possiamo porre la domanda in un altro modo: Che cosa ha il potere di condizionare la mia persona e quella degli altri? Il valore eccessivo che io assegnamo ai miei limiti, alle mie barriere, ai miei ostacoli, alle mie crisi e ai miei difetti conferisce il potere di condizionarmi. Se un mio limite è molto importante, se un mio difetto è un valore di primaria importanza, allora lo sarà anche il suo effetto o condizionamento sulla mia storia esistenziale. Proviamo  immaginare di poter togliere il valore che assegnamo ad una qualsivoglia drammatizzazione. Il suo potere è proporzionale al valore che assegnamo a quello che pensiamo, sentiamo crediamo, ecc. Nel momento in cui cambia il valore che assegniamo alla nostra interpretazione osserveremo un cambiamento immediato, un calo della forza con cui la drammatizziamo. Il valore è dunque una lama a doppio taglio. Potenzia ed eleva l’esperienza rendendo intenso il proprio coinvolgimento. Il valore rende reale qualcosa. Il disvalore fa perdere la presa sulla stessa. Dare valore o togliere valore equivale ad assegnare la vittoria a una parte di se o assegnare la sconfitta ad un’altra parte di se. La prima domanda cruciale a questo punto è perciò la seguente: A quale parte vogliamo dare la vittoria? A quale parte vogliamo assegnare la sconfitta? Chiarito questo appare la seconda domanda fondamentale: Come si aumenta concretamente il valore della parte che si vuole rendere vincente e come si toglie concretamente il valore alla parte che non si vuole vinca nella nostra vita? La chiarezza a cosa dare maggiore valore e a cosa toglierlo, sommata l’abilità di saperlo fare, cosa affatto semplice, porta lo studente a padroneggiare la strategia del valore e del disvalore in tutte le sue coniugazioni possibili. Il valore diventa così uno strumento per edificare lo stile e la qualità della vita desiderati. Come il muratore usa la cazzuola con la quale impasta il cemento per legare i mattoni della sua casa, così il valore lega e impasta le persone, le une alle altre e le lega alla vita. Oppure le slega, le une alle altre e queste alle vicende della vita per sciogliere il vincolo e lasciare andare  tutto ciò che ostacola e minaccia la realtà che si vuole costruire. Ecco come innalziamo l’edificio esistenziale rivelando a se e agli altri l’architettura della nostra completezza. Se il valore è la cazzuola, chi è il muratore? Vieni all’Intensivo e potrai scoprirlo. 

Post Recenti

Iscriviti alla Newsletter