due forze che condizionano lo stile e la qualità di vita

La dinamica del resistere e del forzare è fortemente diffusa ed invasiva, anche se poco o per niente conosciuta e considerata; è altamente deleteria e spesso del tutto inconsapevole. 

Nei numerosi anni di ricerca svolta nei nostri corsi di studio è emersa una sconcertante scoperta: quasi tutte le persone originano ogni giorno migliaia di rifiuti e di forzature interiori, molti dei quali pre verbali, cioè mai definiti, e preconsci, cioè non elaborati e non evidenti nell’espressione e nelle finalità progettuali della persona. Questa massa considerevole di realtà resistita e/o forzata si è rivelata la responsabile principale della perdita di fitness personale e della decadenza della qualità della vita. 

Rifiutare o forzare la realtà cosi come appare e ci viene incontro, ha un costo molto alto che consuma e logora l’energia vitale di ogni persona.

Forzare e resistere la realtà sono forze che non vogliono interagire od entrare in relazione con l’esperienza: portano a non sentire ciò che si presume o si presagisce potrà accadere e che ovviamente la persona non desidera sperimentare. 

Resistendo o forzando, cioè negando una parte della realtà o volendo che sia diversa da come realmente è, si ha l’impressione di farla esistere di meno rendendola più eterea o evanescente. 

Il resistere, il rifiutare, il negare qualcosa o forzare la realtà ad essere diversa da come appare è un modo di togliere valore: meno importanza diamo a qualcosa, meno la consideriamo. 

Ecco l’equazione che si afferma quando una persona si fissa nell’uso eccessivo della resistenza o della forzatura per relazionarsi con gli altri e la vita.

Più resistenza = meno valore

Meno valore = meno dolore  

Migliaia o centinaia di migliaia di oggetti micro resistiti o forzati quotidianamente hanno il potere di esaurire velocemente la fitness di una persona. I primi elementi che si affievoliscono fino a spegnersi sono lentusiasmo e la creatività umana, la voglia di fare e il coraggio di osare nel superare i propri limiti di crescita. 

Resistere e forzare è inversamente proporzionale alla causalità: più una persona resiste e forza gli altri e la vita, e meno è causale nei loro confronti. 

Più una persona è capace di agire e influenzare la propria realtà, e meno resiste e forza la propria vita. 

L’analisi ha rivelato un altro elemento significativo: le persone non resistono e non forzano per scelta o per mancata abilità, ma piuttosto per cattive abitudini. 

Le resistenze e le forzature sono presenti nelle nostre relazioni fin dai tempi precoci della nostra formazione: il bambino non è capace di originare autonomamente queste due forze, ma se subisce esperienze sopraffacenti troppo e troppo a lungo, inizierà a farlo come risposta alle dinamiche ricevute in modo speculare. Possiamo dire che le riflette in modo automatico e inconsapevole, creando dei precedenti e dei solchi per ciò che diventerà un tratto caratteriale tipico del suo comportamento. 

Tutto il processo di socializzazione è formato fondamentalmente dall’azione congiunta di queste due forze: se le forze saranno equilibrate, senza essere eccessive, la persona si formerà e si modellerà come la società del suo tempo gli suggerisce. Se le forze saranno eccessive o squilibrate si verificheranno effetti sgradevoli nella personalità. 

La maggior parte delle persone potrebbe accettare gli eventi della propria realtà, ma per qualche ragione non accade: per indulgenza, automatismo, abitudine o perché gli altri fanno così. Una leggerezza molto costosa dalle grandi implicazione. Resistere significa investire una grande quantità di energia per essere “contro” qualcuno o qualcosa, per difendersi perchè vengono percepiti come ostili senza che lo siano veramente. 

La resistenza e la forzatura consumano la maggior parte del proprio potenziale in una continua guerra di logoramento. L’esito è un declino costante che porta alla stanchezza di vivere e al proliferare incontrollato di problemi cronici.

Questa strategia conduce al fallimento di una storia personale. Il fallimento può non apparire tale e raramente il declino risulta catastrofico; ma portare meno attenzione ed energia vitale ai propri fini esistenziali, e dedicare sempre più energia per essere contro qualcuno o qualcosa che si ritiene responsabile o colpevole del proprio dolore e fallimento, spegne gradualmente la persona per renderla infine invisibile. 

Anche questa dinamica è correlata in modo inversamente proporzionale: più si combatte qualcosa e meno si costruisce qualcos’altro. Questo processo è alla base di ogni tipo di radicalizzazione: lo si osserva molto bene sul piano macroscopico sociale dove ogni qualvolta si presenta una vicenda significativa, l’opinione pubblica si divide in chi è pro e chi è contro.  

Quando una persona smette di resistere e forzare se stesso e gli altri accade il fenomeno opposto: ripristina la propria energia vitale e sente immediatamente di avere forza e voglia di procedere verso le proprie mete. 

La strategia del resistere e del forzare ricorda il mito del vampiro che si nutre in modo parassitario del sangue, linfa vitale delle persone. In questo caso l’entità maligna non è altro da sé, ma abita l’interiorità della stessa persona, un meccanismo che rimane invisibile e sotterraneo alla consapevolezza della persona che lo possiede, e quando ne avverte l’influenza ha l’impressione che non sia lui a crearlo. In queste condizioni formulare l’interpretazione che è qualcos’altro ad essere il responsabile della propria condizione, appare molto credibile. 

Perché mai qualcuno dovrebbe impostare la propria strategia di successo esistenziale con uno strumento così nefasto come il resistere o il forzare? 

Io penso che questa impostazione sia riconducibile all’origine del venire ad essere della persona, ad uno shock narcisistico particolarmente sopraffacente che accade nella precocissima presa di coscienza, alla fine della fase di fusione con mamma, dove l’individuo diventa consapevole della propria separazione e si condensa la percezione di essere in costante pericolo in un mondo che appare e suggerisce di essere continuamente ostile e sopraffacente.

Interazione tra resistenza e competizione

Il problema principale con le strategie che prevedono la cooperazione, risiede nel fatto che le persone, pur volendolo, non riescono ad attivare forze coesive sufficienti nelle proprie relazioni per produrre concretamente la collaborazione che desiderano. 

La ragione di questa insufficienza è a monte: perché semplicemente hanno attivato troppe (e inutili) forze repulsive nei propri comportamenti e nelle proprie relazioni per salvaguardarsi e difendersi da ipotetici nemici. In più, queste forze repulsive, vengono attivate in modo automatico e continuo, ovvero senza sapere di farlo e in tutte le situazioni, anche quando non è necessario. Dato che il “nemico” e “l’ostilità” si trovano all’interno della persona e non fuori, si finisce per colpire-distruggere se stessi, come una malattia autoimmune che aggredisce per errore le cellule del proprio stesso corpo.  

Una massa critica di resistenza e forzatura nella vita produce una forza repulsiva costante, ed avvia un processo di conflittualità diffusa e indiscriminata. Una massa critica di accettazione nella vita di una persona, fa nascere una spontanea capacità inclusiva e cooperativa. Nel primo caso i problemi prolificano, nel secondo si esauriscono fino ad estinguersi. 

Sul piano emotivo i segnali della presenza di una forza o dell’altra sono molto chiari: una massa critica di resistenza e forzatura porta alla disaffezione, al ritrarsi dalle sfide della vita, alla rinuncia e alla delusione di se stessi. 

Una massa critica di accettazione porta all’empatia, all’unione, al coraggio di affrontare le sfide della vita, al risultato e al successo.

Possiamo dire che accettare gli altri è un modo di conoscerli, e resisterli un’incapacità di farlo. La veridicità di questo paradigma è facilmente verificabile in quanto più si conosce e più si è naturalmente predisposti ad accettarsi; più si è abili ad accettarsi e maggiore è la comprensione che intercorre tra due e più persone. 

Quando una persona comprende una realtà, ma non l’accetta, riconosce le azioni da compiere, ma non agisce di conseguenza. A volte la risposta è talmente ovvia che è impossibile evitarla, come ad esempio svegliarsi al mattino e andare a scuola, o svegliarsi al mattino e andare al lavoro, o svegliarsi in piena notte e andare nella stanza del bambino che si è svegliato per l’ennesima volta. La persona va a scuola, va al lavoro e va a prendere il bambino per consolarlo, ma la persona che resiste non agisce con tutta la propria forza, la propria volontà, con tutto il potenziale del suo coinvolgimento. 

La persona non coinvolge nell’esperienza tutta la sua persona: una parte resta fuori dall’esperienza impegnata a resisterla. Lo fa perché non è in grado di accettarla. Non riesce a dire sì all’esperienza, non vuole renderla reale, non vuole farla esistere completamente nella propria sfera esistenziale soggettiva. Questa è la risposta tipica di chi resiste ed è al contempo la risposta che gli assicura dieci volte su dieci il fallimento della propria azione, anche quanto tecnicamente la compie. 

Le persone dicono: “Io so cosa devo fare, ma non so fare” (scusa o giustificazione), oppure “Io non posso fare, non sono in grado, è troppo per me” (vittima e identità d’impotenza), o ancora “Io non voglio fare” (ribelle, con l’identità di nemico che ha il compito di demonizzare, bandire e combattere l’oggetto della propria esperienza). Quando una persona comprende una realtà di vita e la accetta pienamente, origina un comportamento appropriato e dirà: “Io so, io scelgo, io voglio, io faccio, io ottengo”.  Possiamo dirlo in un altro modo, usando sempre la matematica della crescita: resistere e forzare è inversamente proporzionale al carisma della persona. Una persona è affascinante per il fatto che attira e seduce, desidera e vuole la realtà, non certo perché la resiste, la forza, la demonizza o la colpevolizza. 

Gli studenti di Strategie evolutive dedicano molto sforzi per identificare, riconoscere e sciogliere le innumerevoli micro resistenze quotidiane. Prese singolarmente le resistenze non sono significative, è la loro somma che produce la massa critica necessaria per spostare il timone che orienta la direzione della vita. Scoprendo e sanando questi nodi oscuri o grigi che si resistono, le persone abbandonano gradualmente la propensione a usare eccessivamente la competizione e si spostano naturalmente sul piano della collaborazione. Possiamo immaginare la resistenza come un veleno deformante capace di distorcere la forma di tutta la personalità. Una persona avvelenata da un eccessivo uso di resistenza verso gli altri e la vita, diventa naturalmente attratta dalla conflittualità. Colui che resiste crea la condizione interiore in cui sperimenta che non ci sono alternative allo scontro. Sciogliendo le micro resistenze, le persone diventano naturalmente attratte dalla collaborazione. 

Attirare competitori o collaboratori fa la differenza perché alla fine si accetta o si respinge ciò che la vita invia e propone, creando di fatto il proprio destino. Il paradosso di questa situazione consiste nella terribile e affascinante scoperta: l’umano spesso finisce, senza accorgersene, ad interloquire con se stesso, come chi tenta di instaurare un discorso sensato con l’eco che rimanda la propria voce. 

Resistendo e forzando se stessi, gli altri e la realtà si arriva ad accettare ciò che la vita manda, e si dimentica chi è che l’alimenta e la rifornisce di continua conflittualità: siamo noi stessi a caricare l’arma delle strategie con la quale spariamo al bersaglio, la nostra vita. 

Agli osservatori esterni appare poi una fatto incomprensibile: alcune persone sembrano essere “fortunate”, trovando nella propria vita grandi collaborazioni e di conseguenza eccellenti risultati; altri sembrano “iellati” in quanto la vita sembra non smetta mai di essergli contro. In entrambi i casi “piove sul bagnato”, solo che piovono due piogge molto diverse: una acida e l’altra benefica. Virtù e difetto del nostro meccanismo: il difetto di tale impianto esistenziale autoalimentane è simile a quello che si può ravvisare in un circuito vizioso, improduttivo, insoddisfacente e fallimentare. L’esito è una vita apparente o se più vi piace falsata e infine distorta, incapace di cogliere la completezza. Quando tale impianto esistenziale è invece virtuoso si autoalimenta per divenire produttivo, soddisfacente, capace di portare alla completezza esistenziale. L’esito è una vita vera in cui l’apparenza, ciò che si mostra, coincide con la sostanza di ciò che si è veramente. 

Ma come si sciolgono le micro resistenze?” E’ la domanda da un milione di Euro che spunta immancabilmente nella coscienza degli studenti del nostro corso. Tuttavia ne esiste una che dovrebbe essere fatta ancora prima, che interessa maggiormente gli addetti ai lavori: “Come si identificano e si riconoscono le resistenze e le forzature? 

La ricerca del Centro Studi Podresca risponde con successo ad entrambi i quesiti con processi che gli studenti trovano nei loro super manuali.

Alla fine di questo ciclo di studio sulle strategie che si possono assumere, appare la visione integrale della mappa delle strategie personali. La visione completa ha una triplice funzione: creare una maggiore consapevolezza, dare valore e originare un crescente potere di azione nella nostra espressione. Il lavoro svolto permette la somma di una serie di strumenti pluripotenti per affrontare con maggiore competenza la complessità della vita, e accende portando al massimo dei giri il motore che permette alla persona di viaggiare nella propria vita. 

Attivare tutti le strategie personali mette in moto la crescita della persona con irruente potenza, proprio come la vita, affatto docile, deve essere affrontata. 

Risolvere i problemi cronici, studiare e integrare le strategie personali nel periodo dell’adolescenza sarebbe l’azione formativa ideale, in quanto oltre a dotare la giovane persona di strumenti ottimali per affrontare la vita, possono essere insegnate ai futuri figli. 

Noi possiamo trasmettere noi stessi agli altri in molti modi: con lo studio, con l’esempio, ma l’epigenetica (un comportamento acquisito) è certamente il modo migliore. Possiamo ben dire allora che “L’epigenetica consegna il meccanismo. La psicologia personale arma il meccanismo. Lambiente e le relazioni tirano il grilletto.”

Le strategie che lo studente ha sino ad ora appreso e per le quali viene addestrato in questa prima unità di studio sono:

1 La sfera di determinazione (io determino gli eventi)

2 La determinazione del risultato (io determino il mio successo)

3 L’equivalenza (io riconosco il mio e il tuo valore)

4 La collocazione e la partecipazione alla vita sociale (io sono insieme agli altri)

5 La stella delle abilità (interagire con la proprie eccellenze)

6 Strategia del togliere il valore

7 Strategia collaborativa

8 Strategia competitiva

9 Strategia del resistere

10 Strategia di accettare

Lo studente immancabilmente scopre che alcune proprie strategie sono funzionali, altre eccellenti e altre ancora lacunose o mancanti. Questo permette di progettare accuratamente la propria formazione e usare le strategie come strumenti per agire con maggiore efficacia.

Lo studente di Strategie Evolutive diventa architetto, ingegnere e capo cantiere di se stesso ridisegnando e ri-progettando la propria vita. 

Forse questo è ciò che significa essere Sapiens. 

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